L’esecuzione musicale, la felicità e l’illusione della perfezione

Nessuno è perfettoPer un certo periodo della mia vita sono stata felice o almeno credevo di esserlo, il che è in pratica la stessa cosa.
Ero felice, felicissima, mi sentivo arrivata, non sapevo dove esattamente fossi arrivata ma mi sentivo come se avessi tra le mani tutto quello che avevo sempre desiderato.
Ero così felice che ero diventata anche un po’ stronza.

Quello che non mi era stato chiaro da subito, ma che poco alla volta ha iniziato a fare capolino in tutta quell’abbagliante felicità, è che questa condizione di grazia non è cosa destinata a durare per sempre ed è così che poco alla volta si insinua la paura di perdere la tanto agognata felicità.

Dopo tutto, uno molto più avanti di me aveva scritto:

Felicità raggiunta, si cammina
per te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s’incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t’ama.

Così ho iniziato a chiudere tutta quella felicità in una gabbia, per evitare che volasse via, ma più mi barricavo insieme a lei nella nostra gabbia e meno mi sentivo felice, finché non l’ho soffocata e ciao ciao felicità.

Perché vi racconto questa esperienza di vita, anche un po’ inutile e ingenua direte voi, cosa ha a che vedere con la musica?
Tutto. E ora vi spiego perché.
A lungo sono stata ossessionata dalla perfezione dell’esecuzione musicale: ore e ore a ripetere lo stesso passaggio che non era mai abbastanza perfetto, ore e ore ad ascoltare le esecuzioni che avevo etichettato come “perfette”.
Finché ho capito –meglio tardi che mai– che suonare ricercando la perfezione era esattamente come chiudere la felicità in una gabbia e guardarla spegnersi.
Non sto dicendo che basta suonare alla come viene viene: metodo, approfondimento, tecnica, precisione e studio sono imprescindibili, ma il fine di tutti i nostri sforzi non deve essere la perfezione altrimenti si perde inevitabilmente tutto il resto, e la musica è proprio in tutto il resto.
Quale deve essere il fine di un’esecuzione musicale allora?
Non credo esista una finalità unica, uguale per tutti e valida per ogni momento della nostra vita, ma credo sia fondamentale suonare per donare: creare bellezza, regalare e regalarsi qualcosa, dare luce all’autore, dare vita al brano.
Spesso mi sento chiedere perché continuo a suonare se ormai è chiaro che non diventerò mai una concertista e rispondo chiedendo perché continuiamo a vivere se è chiaro che non raggiungeremo mai l’immortalità.
Suonare è come vivere: alti e bassi, grandi dosi di fatica, piccoli progressi di cui godere tantissimo, guardare avanti senza avere paura, imparare dagli errori per migliorarsi, condividere qualcosa di bello.
Poi ogni tanto la perfezione accade e dura un attimo, come la felicità.

Se non mi esplode il blog per questa botta di modernità, vi confesso che a volte prima di suonare, quando mi accorgo che sono in ansia da performance, mi canticchio “Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore…” e di solito funziona anche se non segno.

5 pensieri su “L’esecuzione musicale, la felicità e l’illusione della perfezione

  1. Articolo raffinato che, restando in argomento musicale, mi suggerisce una piccola digressione. La musica, come le emozioni più cristalline, nasce dal silenzio. Un silenzio di suoni, di parole ma anche di pensieri visto che la mente, prima di un’esplosione di felicità, si libera di tutto.
    La ricerca della felicità e della bellezza è anche ricerca di questo silenzio che, di tanto in tanto, riusciamo a trovare. Appena il tempo di un respiro che fa rifiorire il giardino della nostra anima.

    • Certo che puoi leggerlo durante la sessione di letture libere, mi fa davvero piacere.
      Grazie a te.

  2. Articolo perfetto, con un’introduzione fotografica ed un commento musicale finale perfetti. Ma non era un articolo incentrato sul concetto che la ricerca della perfezione alle volte può fuorviare? Potevi scriverlo un po’ meno bene, cacchius.

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